3. Mondialismo unipolare globalista tra neo-liberismo e neo-marxismo

29.11.2025


Per comprendere meglio quanto l'atteggiamento egemonico unipolare, ovvero il voler primeggiare nell'ambito delle relazioni internazionali, siano esse politiche o economiche, sia debitore del processo di globalizzazione, dobbiamo addentrarci in alcuni paradigmi o teorie-base sulle relazioni internazionali e identificarne i tratti ideologici fino agli anni a cavallo fra il 1900 e il 2000:

  • Il realismo;
  • il neo-liberismo
  • il neo marxismo rivoluzionario di stampo trotskysta.

Va premesso che tutto quanto, in definitiva, accomuna queste teorie è il globalismo mondialista, ovvero una visione globale dei problemi o dei fenomeni economici, sociali, politici e culturali, con l'obiettivo di trovare soluzioni altrettanto globali, tenuto conto degli equilibri e delle relazioni fra diversi stati: in sintesi, come e chi deve governare politicamente il processo della globalizzazione. Va precisato, a scanso di equivoci che il multilateralismo, ovvero l'accordo fra gruppi di stati, è altra cosa. Esso è uno strumento, che vuole rassicurare sulla parità (inter pares) fra i contraenti. L'ambito regionale e geopolitico all'interno del quale ci muoveremo è, soprattutto, quello egemonico dell'anglosfera. Quando affronteremo il multipolarismo, potremo conoscere questo altro fronte e coglierne il profondo respiro multiculturale e non egemonico.

IL PARADIGMA REALISTA.

Sono due i fondamenti storico-filosofici del realismo in politica: il Trattato (sistema) di Westfalia (1648) e il principio di Hobbes (1588-1679) sulla naturale rivalità fra gli uomini (homo homini lupus), applicato agli Stati nazionali. Infatti, i realisti sostengono che da un punto di vista storico, gli Stati nazionali sono i principali attori delle relazioni internazionali; la loro sovranità è assoluta; nulla di sovranazionale, in qualità di struttura normativa, può entrare nei loro confini; pertanto, tra i diversi Stati, nelle relazioni internazionali la regolamentazione è molto difficoltosa, perché regna l'anarchia. Dal punto di vista filosofico, il pessimismo hobbesiano si sostanzia nel privilegiare i propri interessi egoistici e nel massimizzare gli interessi nazionali ("sovranismo" realista), il cui livello critico espone ad una guerra potenziale. Gli Stati non cambieranno mai tale natura, indipendentemente da eventuali processi storici. E' necessario, pertanto, attenersi strettamente ai fatti, identificati come oggettivi e ricorrenti, su una base materiale e razionale.

Su questi elementi lo statunitense di origini tedesche Hans Joachim Morgenthau (1904-1980) ed altri hanno elaborato il realismo classico che vede nei liberali i principali oppositori ideologici.

Successivamente, intorno agli anni '70 del secolo scorso, una nutrita pattuglia di neorealisti introduce il principio dell'equilibrio di potenza nelle relazioni internazionali, spostando l'attenzione sull'equilibrio delle egemonie principali, che a quel tempo erano USA-URSS, piuttosto che concentrarsi sugli interessi di tutti i singoli stati, i quali potevano essere meglio visti all'interno di un mondo bipolare: o con gli USA e le democrazie occidentali, o con l'URSS e gli altri paesi socialisti. I teorici di questo ampliamento teorico sono chiamati neorealisti e, da questi influenzato, il più conosciuto esponente politico-diplomatico H. Kissinger, elemento di spicco della diplomazia conservatrice e repubblicana e principale artefice del riavvicinamento tra USA e Cina, quest'ultima considerata fino ad allora un problema marginale da prendere, tuttavia, in seria considerazione. I diplomatici e i politici americani, conservatori nelle idee e in gran parte vicini al Partito Repubblicano, formati secondo le teorie realiste devono attenersi razionalmente e pragmaticamente ai fatti, senza alcuna remora morale, con l'obiettivo di perseguire gli interessi degli Usa in un'ottica di gestione in equilibrio della governance mondiale. Quando è crollato il mondo bipolare e nulla era più da tenere in equilibrio, i neorealisti elaborarono un nuovo modello di struttura globale pienamente coerente con il mondo unipolare ad unica egemonia USA. Riprenderemo questo ultimo aspetto al momento in cui ci occuperemo del DEEP STATE, lo Stato profondo statunitense, in quanto il paradigma realista non ha cessato di influenzare le scelte geopolitiche degli Stati Uniti e questo può aiutarci nella comprensione almeno di una parte del MAGA (Make America Great Again) di D. Trump e i suoi tentativi di riposizionale gli Stati Uniti in un nuovo "equilibrio delle potenze".

IL PARADIGMA LIBERALE/NEO LIBERISTA.

Il liberalismo classico o paradigma liberale, nato dalle idee di J. Locke (1632-1704), si articola attorno al concetto filosofico che la natura umana è neutra e che, pertanto, può cambiare e migliorare grazie alla educazione. Ciò comporta che le forme politiche della società possono, quindi, evolversi e tendere ad un miglioramento morale sulla base di valori comuni che sono l'uguaglianza, la libertà, la tolleranza, il libero mercato, la tutela della proprietà, garantiti dallo Stato di diritto mediante le leggi che determinano dove finisce la libertà dell'uno e inizia quella dell'altro. La forma politica migliore è, pertanto, la democrazia. Dal punto di vista delle relazioni internazionali la questione principale non sta nel considerare gli Stati nazionali come attori principali de juris, ma nel solo fatto che un regime politico sia liberal-democratico in quando prevede il parlamentarismo, le elezioni, la libertà di stampa e di parola, la separazione dei poteri; che si sta muovendo in questa direzione; oppure, che non lo sia. Se del primo caso, è più facile instaurare relazioni e rapporti di ogni tipo; se del secondo, ovvero se non sia ancora pienamente liberal-democratico ma avviato verso la democratizzazione, la interazione è indirizzata a favorirne i processi per una piena integrazione; se del terzo caso, ossia a fronte di regimi definiti autarchici, oligarchici o dittatoriali, a dir poco, si complica o può diventare impossibile e va, perciò "educato" attraverso l'informazione o, se questo approccio non dovesse funzionare, va combattuto, per ottenere il cambio di regime (regime change). Un mondo interamente liberal-democratico, è questa la conclusione, sarà, quindi, moderno, pacifico e prospero in quanto i valori sono comuni. Tutto ciò influenza e facilita la politica estera e le relazioni internazionali in quanto i principi-valori che legano fra loro i cittadini di uno Stato sono gli stessi che legano fra loro gli Stati democratici. A tutela e garanzia della pace, della prosperità e della integrazione fra gli Stati, alcuni teorici e politici liberali del secolo scorso hanno sostenuto il postulato secondo il quale ci sarà una evoluzione verso un sistema con specifiche strutture transnazionali o sovranazionali su base democratica, realizzate mediante accordi fra gli Stati. Per strutturarsi secondo questa sintesi proposta, il paradigma liberale classico ha navigato il corso storico delle relazioni internazionali per alcuni secoli, segnati da fratture rivoluzionarie e guerre, con esiti disastrosi per l'umanità intera, fino alla seconda metà del 1900, e, più esattamente, fino alla globalizzazione ed ai processi che ha innescato. Una corrente di teorici liberali hanno elaborato una teoria delle relazioni internazionali che è conosciuta come neoliberalismo o, anche, neoliberismo. Essa si è concentrata sul fatto che la globalizzazione ha consentito l'emersione di uno spazio unico globale (economico, culturale e sociale) nel quale l'Occidente democratico è egemone; quindi, deve diffondere i valori di modernizzazione e occidentalizzazione ed entrare profondamente all'interno delle strutture e della vita di tutti i popoli. Il neo-liberalismo, accogliendo l'ampliarsi dello spazio globale e delle opportunità che esso offre, vede confermata la giustezza del paradigma liberale e sottolinea la necessità di strutture trans-sovranazionali che consentano di arrivare ad una governance o governabilità mondiale dei processi, attraverso la creazione e il finanziamento delle ONG e delle altre componenti a livello transnazionale che possono influenzare la politica degli Stati, soprattutto quella estera, e favorire i processi di democratizzazione. J. Nye nel libro Soft Power. The Means To Success In World Politics, edito nel 2004 analizza per la prima volta e sviluppa il concetto di soft power (potere dolce, leggero, ovvero, utilizzo di strumenti non coercitivi e violenti), così da porre in evidenza quanto siano importanti le idee e le metodologie teoriche/intellettuali per far sì che la globalizzazione sia un successo e le democrazie si realizzino dappertutto ("rivoluzioni colorate" e migrazioni finanziate da Soros, USAID ed altri, WEF-World Economic Forum di Davos). A questo strumento si affianca l'hard power (potere duro, coercitivo) che si sostanzia di interventi militari (superiorità militare) o politico/economico/giudiziario (prestiti di denaro a condizione, sanzioni unilaterali, pressioni politico/economiche, ricatti, condanne mirate) al fine di favorire cambiamenti di regime. Molto utile a questo scopo è anche la implementazione di progetti transnazionali, basati sui principi della democrazia liberale, (vedi Unione Europea), il cui scopo è la progressiva cessione della sovranità nazionale degli Stati appartenenti, in tutti i loro ambiti. Lo scopo finale della ideologia liberal-neo liberista è la governance di un mondo globalizzato, con al vertice una élite globale, cosmopolita e capitalista, dove non avranno più posto i poteri territoriali degli Stati nazionali e le conflittualità provocate dalle differenze culturali, politiche, razziali, religiose.

IL PARADIGMA NEO-MARXISTA e NEO-INTERNAZIONALISTA (NEO-TROTSKISMO)

Agli occhi del mondo è sembrata chiusa la parentesi del marxismo-comunismo con la dissoluzione dell'Unione Sovietica che, nella prospettiva di una egemonia bipolare e in contrapposizione con gli USA e i suoi alleati, aveva cercato di attrarre a sé i paesi non allineati, facendo leva sulla lotta contro il colonialismo e l'oppressione da parte del mondo occidentale che ne era il principale responsabile in tema di sfruttamento dei popoli e delle risorse a vantaggio di oligarchie monopoliste. Questa retorica ideologica entra in rotta di collisione con un mondo che si stava avviando in una prospettiva globalizzata segnata da un forte ottimismo che chiedeva un mercato sempre più aperto, con meno vincoli e limiti e con reti logistiche interconnesse fra loro a livello globale. Per dirla con un'immagine metaforica: i muri dovevano essere abbattuti. A fronte di un benessere e di una crescita economica per tutti i popoli sbandierata dai neo-liberisti. Le tesi neo-marxiste sono caratterizzate da una forte critica del capitalismo e da una visione ancora classista dell'evoluzione storica, lette, formulate e rimodulate, però, all'interno dei processi globali in atto.

In questa direzione si muovono A. Gunder Frank, F. H. Cardoso che elaborarono il concetto di "sviluppo del sottosviluppo" con esplicita condanna del mondo occidentale che sfrutta la periferia tramite scambi ineguali e debito, spiegando così le migrazioni, le crisi debitorie dei paesi sud-americani degli anni '80 del secolo scorso e come le multinazionali estraggono risorse senza sviluppo locale.

Immanuel Wallerstein affronta più direttamente il tema della globalizzazione e vede il mondo diviso in 3 parti: centro (paesi industrializzati), semi-periferia (es. Cina, Brasile) e periferia (paesi poveri). Il capitalismo è un sistema unico che perpetua gerarchie e disuguaglianze. Pertanto, la globalizzazione non fa altro che rafforzare le disuguaglianze.

J. Habermas e la scuola di Francoforte integrano ideologia e potere, sostenendo la tesi critica per cui il capitalismo globale maschera le disuguaglianze con argomentazioni che ruotano attorno al concetto di "sviluppo sostenibile". Ha influenzato studi sui diritti umani e migrazioni come "lotta contro l'alienazione capitalista".

Questi approcci enfatizzano il materialismo economico, per cui la produzione capitalista (base) determina istituzioni politiche e relazioni internazionali (superstruttura); spiegano la crisi del 2008 come collasso del capitalismo finanziario a scapito di austerity nei paesi del Sud globale; la Cina sfida il sistema-mondo, ma resta integrata nel capitalismo globale (Wallerstein); promuove un universalismo di stampo illuminista; è più critico che propositivo e influenza attivisti, ONG, ONU (Agenda 2030)

La tesi che ha avuto più successo nelle Relazioni Internazionali, specialmente in ambito universitario e di Centri Studio, è quella formulata da M. Hardt e A. Negri in Empire, edito in inglese nel 2000 e in Italia da Rizzoli, Impero, due anni dopo e primo di una trilogia. In questa teoria l'internazionalismo trotskysta ritrova casa. Si ha a che fare con un unico Impero globale che include e sussume tutti gli Stati (globalizzazione neo-liberista); non ha un centro fisico e geografico ma è una rete di poteri (Stati nazionali, organismi sovranazionali – ONU, FMI, WTO –, corporations transnazionali, ONG, media globali, movimenti no-global/altermondialisti.) che esercitano insieme una sovranità planetaria, anche attraverso strumenti ferrei di controllo e di guerra permanente. L'antagonista dell'Impero non è più il proletariato classico ma la Moltitudine, l'insieme eterogeneo di tutti coloro che producono (lavoratori cognitivi, migranti, precari, movimenti sociali, ecc.). La Moltitudine è potenzialmente più forte dell'Impero perché è la vera forza produttiva (produce la ricchezza comune: linguaggi, saperi, affetti, cooperazione sociale). Quindi l'età dell'Impero iniziata dopo il 1989, dialetticamente parlando, ha generato anche la Moltitudine, portatrice di un comunismo del comune (commons), questo sì, internazionale, come gestione diretta della ricchezza sociale prodotta. Il nuovo capitalismo finanziario globale (che va assecondato - n.d.r.) non può che produrre una rivoluzione comune altrettanto mondiale che darà ai popoli uguaglianza, diritti, prosperità ecc.

Gerardo Rapini